Laurana

Laurana

venerdì 23 aprile 2010

A MIO PADRE

Adesso sono state ritrovate.
Ossa ormai sbriciolate dal tempo.
Tutti lo sapevano,
dove.
La paura ha cucito le bocche
per lustri,
non ha permesso ricordi,
commemorazioni.
Frantumi di ossa,
ferite che si riaprono.
Esperti di laboratorio
analizzano i frammenti
raccolti
in fondo alla voragine.
Tutti noi lo sapevamo.
Nessuno ha parlato.
Terrore.
Ignorare l'assassinio più abbietto.
Come i cristiani alle belve,
creature vive
fatte precipitare
nelle voragini delle foibe.
Agonie di settanta ore
che ci tromentano da sempre.
Ecco.
L'odio è dentro di noi.
Riaffiora violento.
Lacrime, paure, spettri di uomini armati,
passi nella notte, spari.
sentieri nei boschi per mete stabilite.
Basta.
Non chiedeteci l'esame del DNA.
I morti sono morti.
Noi con loro.

(Grazia Maria Giassi)

FAMIGLIA


Siete nel giardino,
vicino al muro di pietre
di Villa Grazia.
Dentro no.
Evitate lo studio del professionista.
All'aperto.
Come aperti erano i vostri cuori.
Vi osservo.
Vedo nei vostri occhi
fiumi di generosità
che avete dato a tutti.
Mi piace pensarvi insieme
anche se le vostre spoglie
sono sparse.
Cara famiglia,
famiglia vera.
Dolori per ogni stagione
ma un sorriso sempre
e la porta spalancata.
Buoni.
E' raro usare questo aggettivo.
Ma la vostra bontà
ci è rimasta dentro
e il fango della vita
non l'ha soffocata.

Tu sorridevi, nonna, tra le lacrime.
Per noi.
I Tre Moschettieri,
il padrone delle ferriere
il povero David Copperfield
attraverso i tuoi racconti
diventavano nostri amici.
E Mimì, Liù, Tosca
vivevano con noi
nelle sere di coprifuoco.
Riciclavi lana vecchia
e ricavavi capolavori.
E raccontavi
dei tuoi contrabbandi di sigarette
sotto le sottane troppo larghe
durante la grande guerra.
E sferruzzavi.
Calze grosse con il tallone doppio
anzi speciale
che non conosceva buchi.
Ci amavi.
Pregavi per noi
e chiedevi
un lembo di cielo.
Ci parlavi del nonno
che non avevamo conosciuto,
della sua guerra, delle malattie
"ricevute in omaggio" dalla prigionia.
Del suo amore per il mare,
per la pesca, per la sua barca
ancorata al molo di Ica.

Di te, zio Edi,
ricoderò sempre la filosofia brutale:
"Con il pannolone si nasce,
e si muore, anche".
Riassunto del percorso della vita.
Tornasti, a guerra finita,
dopo una lunga prigionia in India.
Il tuo mondo era distrutto
e avevi due famiglie sulle spalle.
Dicevi:
"Gradino per gradino -
si arriva in cima".
Per noi volevi
una cima d'oro.
Nel mio album di ricordi
c'era una tua grande vela
e i versi di D'Annunzio:
"Arma la prora
e salpa verso il mondo".
ma l'ancora è rimasta nella fonda.

Miia, avremmo dovuto
scrivere insieme le tue memorie,
e la prigionia,
in campo di concentramento,
il ritorno nel pianto
a casa,
l'esilio.
E dopo
le lotte per far quadrare i conti.
Ci hai lasciato in fretta.
Non volevi essere peso
per noi, per te.
Ma sei rimasta
con la tua saggezza
nel dolore nella gioia.
Ci hai dato tanto.
Non ci hai chiesto Nulla.

Padre,
di te ho scritto tutto.
Ma non ti ho mai pensato
figlio,
fratello.
Dovevi essere Meraviglioso.
Se un giorno ci incontreremo,
coste lontane e marosi
riaffioreranno nei ricordi.
Le cicatrici delle tue ferite
saranno segni lievi.
Io le bacerò piangendo.
Ricorderemo quanto
ci è stato tolto.

(Grazia Maria Giassi)

BON NADAL

Se disemo "bon Nadal"
e nei oci se zerchemo:
un brivido de mar
una ioza del ziel.
Una fregola de amor
che ne liga
da sempre

(Grazia MAria Giassi)

FOIBE NEL MAR

I comitati
adeso i vol
aprir le foibe.
Ancora.
E tra i grebani
e la tera
zercar i ossi
e darghe un nome.
Magari un monumento.
Noi, portemo con noi
quei nostri morti
e i xe legai a noi
col fil de fero.

Lasemo star le foibe.

Forsi le tante piove
de sti ani
le gà formà un fiume
per strasinar al mar
resti de omini
de rabie
de dolor.

(Grazia Maria Giassi)

domenica 4 aprile 2010

FOJE NOVE


Fra poco foje nove
coprirà
i rami dei alberi.
Mi no vederò
più
el campanil
le case.
De sera
el verde
cambiarà color
e mi vederò
solo
che mar.

(dal libro Réfoli de Bora, di Grazia Maria Giassi)

EL CANZEL


Ieri son pasada
davanti casa.
I ga messo
canzei novi
in zardin.
Per lasarne fori,
forsi.
No i sa
che noi
semo rimasti dentro.



(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

UNA BARCA ME SPETA


La mia barca
xe là.
La se dindola.
La me speta.
No la pol portarme
lontan.
Ma mi spero.
Ciuder i oci
e andar per mar.
Cucal
o rondine de mar.


(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

BON NADAL

Se disemo "bon Nadal"
e nei oci se zerchemo:
un brivido de mar
una ioza del ziel.
Una fregola de amor
che ne liga
de sempre

(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

"RIPOSA IN PACE"


Me piase andar
nel zimitero de Lovrana
dove i noni dorme.
Vedo tombe vece
coi nomi in italian
e "riposa in pace".
E quele nove
coi bastoni
le stele rosse
e i nomi slavi.
I zipresi
xe alti
e i fa ombra.
Qualche cucal
vien fin qua.
La bora porta una piuma
su una vecia tomba
e par
che sia nasudo
un fior de magio.

(Dal libro "Réfoli de bora", di Grazia MAria Giassi)

FILASTROCHE


"Zia,"
el me gà deto
"no ti scrivi
più poesie..."
e mi go pensà
a quando iero putela
e impinivo i foi
de quaderno.
Ti ti me pensavi
un Pascoli
o D'Annunzio.
Tuto
xe restà là.
Go butà zò ancora
qualche riga,
ma senza vele bianche
o ali
de cucal.

(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

LE ROSE DEL MIO ZARDIN


Iera finida la guera.
La nona
in zardin
co la zapeta
tirava via i rosai
e i zacinti.
"Metaremo patate"
ti gà deto
"le rose no se pol magnar".

Sudor e lagrime
te bagnava
el viso.
El sol scaldava.
Sugava le ioze
de sudor.

No le lagrime.

(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

sabato 3 aprile 2010

ATESA


"Spetemo"
diseva nona,
ogni sera
prima de meterse
a magnar.
"Forsi stasera
el podaria
tornar".
La sorela picia
meteva el piato,
el cuciar,
al tuo solito posto.
E tute
se guardavimo
spetando.

(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

TE INSEGNERO' LE STELE


Ti me disevi
"quando sarà la pase
verzeremo tute le finestre.
De note
mi te insegnerò le stele,
quele del Carro,
la via Lattea,
Orion".
El mio ziel
xe restà
senza stele,
per sempre.

(dal libro "Réfoli de bora" di Grazia Maria Giassi)

ESEQUIE PER DUE


Erimo tuti
a quel dopio funeral.
I grandi se guardava
coi oci rossi
e pieni de teror.
Noi fioi
erimo co le maestre.
Piangevimo coi altri
e no capivimo.
Anna iera corsa incontro
al suo papà.
Qualche d'un nell'ombra
gavea sparà.
Noi se domandavimo
perchè....
Ancora adesso
quela domanda
xe restada
senza una risposta.
E a casa
quela sera
el papà
gà tirà via
la ciave del porton.

(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

EL MAR XE DIVENTA' CIARO

Per trenta mesi
ogni sera
gavemo spetà
con teror,
i oci bianchi
de paura,
un rumor de passi
fora
ne la strada.
E la porta
xe rimasta
ciusa.
Poi,
gà sonà le campane
per la pase.
El ciel sembrava novo
el mar xe diventà ciaro.
Ti
ti non te xe più
tornado a casa.

(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

DENTRO DE MI


Sul quaderno nero
de latin
xe ancora el segno
de la tua matita
copiativa.
Dentro de mi,
sempre,
el tuo soriso
disperà
de drio
le sbare.

(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

EL VECIO GINASIO

Ti gavevi voludo
compagnarme
a scola
el primo giorno
al vecio ginasio
de Abbazia.
Su per la riva
e poi
dentro el porton.
"No sta aver paura",
ti gà deto
e ti me gà lassà
così.
Sola
a cominziar
la strada
de la vita

(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

ESODO


... e dopo semo andadi via.
Foje
in un réfolo
de bora.
In valisa quatro straze
e, dentro de noi
quel gran mal star
che ne gà tegnudo
sempre compagnia.

(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)

PREFAZIONE

Laurana di Fiume: una conca intima di ville asburgiche e di lauri intorno ad un mare azzurrissimo. Aveva quattromila abitanti: italiani, ungheresi, austriaci e qualche croato. Non conoscevano l'odio. Nel 1944 vi passò la rabbia tedesca deportando sessanta persone: "sei una spia titina". Poi passò la vendetta titina deportando trentacinque persone: "sei una spia tedesca". Nel maggio 1945 i giardini offrirono soltanto crisantemi. Il cielo era pieno di stelle, ma erano tutte lacrime.
Nico Giassi fu gettato in carcere dai titini soltanto perchè parlava cinque lingue. Per la stessa ragione i tedeschi avevano deportato sua sorella. Questa è la tragica ironia della guerra.
Grazia era una bambina che non conosceva la cattiveria dei grandi. Con i suoi occhioni fissava le sbarre alle quali vedeva aggrappate le mani nervose di suo padre. Un giorno vide cadere dalle sbarre, come un petalo, un biglietto: "Qualunque sarà la mia sorte, dentro di me c'è solo un amore grande, infinito per voi e per la mia terra".
Nico scomparve, sepolto nel nulla. Sua moglie prese per mano Grazia e la sorellina Adriana. Si rifugiarono, esuli, nella solitudine, tra le montagne di Forgaria. Le due ragazze diventarono professoresse, ma esse stringono ancora nelle mani quel foglietto come un dolcissimo, terribile testamento. Quel petalo, intriso di lacrime e di sangue, ispirò a Grazia queste poesie.

Sono "réfoli de bora": una preghiera senza speranza, il sorriso di un padre disperato che se ne va, una lacrima, un cielo di stelle spente, le campane della pace degli altri, gli occhi fissi sul posto a tavola sempre vuoto, un giardino nel quale le patate sostituiscono le rose inutili. La barchetta delle gite che dondola e piange, un cimitero aggredito da rovi e da stelle rosse, le voragini delle foibe piene di "resti de omini, de rabie, de dolor", il nero della morte.
Poesie brevi, dialettali che Grazia ha voluto deporre come un fiore di campo sulla tomba del padre e poi volare via, verso la speranza, come un gabbiano vola sul Quarnaro, come una rondine vola sui lauri della sua Laurana.

Padre Flaminio Rocchi

(dal libro "Réfoli de bora", di Grazia Maria Giassi)